Qual è la percezione di noi stessi nel mondo in cui viviamo?
Quante volte ci siamo sentiti diversi all’interno del nucleo familiare o del contesto sociale di riferimento? Siamo catapultati in una comunità ben strutturata da norme di comportamento morale: giusto o sbagliato, comunichiamo attraverso un linguaggio che per quanto possa essere univoco mette in risalto la diversità dei vari gruppi umani.
Noi esistiamo se la nostra identità viene riconosciuta e se ci viene restituito quel senso di appartenenza nell’insieme comunitario. Siamo in continua evoluzione nel tempo, modifichiamo la sensazione di noi stessi e ci proiettiamo nel cambiamento sociale circostante. Cerchiamo di identificarci con le figure di riferimento a noi più simili, interiorizziamo, imitiamo alcuni aspetti riconosciuti dalla nostra personalità e lasciamo indietro ciò che ci risulta estraneo.
Il nostro modo di sentire, di desiderare, di vivere è cambiato profondamente e, l’artista Redville, Benedetta Bartolucci, ci mostra attraverso le sue opere d’arte una nuova interpretazione dell’ “Identità”: un’identità frammentata, prodotta dalle influenze che sono giunte dal passato e che cercano, ora, un modo per coesistere. Redville reinventa un’immagine di “autenticità” utilizzando la tecnica del collage: ricerca le immagini, le taglia, le incastra, le sposta e le incolla su una figura simbolica. Le parti che mettono insieme il viso sono alterate, talvolta ci sono più occhi, nasi, il cervello compone i muscoli facciali, le linee del volto sono un accavallamento di molteplici strati di carta.
È una continua ricerca dell’identità perduta. Il sociologo e filosofo polacco Bauman, nella sua opera “La modernità liquida”, ci parla del problema dell’identità nella società post-moderna: mentre nella modernità la nozione d’identità era strettamente ancorata a costrutti identificabili, oggi ci troviamo in un “mondo liquido”, in cui abbiamo scardinato e messo in discussione ogni tipo di condotta sociale a tal punto che non riusciamo più a dare concretezza alla nostra identità.
I volti realizzati dai collage di Redville rifiutano lo stereotipo della definizione di identità legato al significato intrinseco dei concetti quali: nazione, classe sociale, cultura, etnia, genere, orientamento sessuale e, restituiscono la libertà di espressione svincolata dalle restrizioni imposte dalle etichette sociali. Le figure rappresentano la realtà che rompe gli schemi collettivi, divulgano la verità che si cela nei rapporti umani, donano un’immagine intera alle varie maschere delle persone. Nelle opere si percepisce una critica alla cultura dell’apparenza che nasconde le identità ritenute inappropriate rispetto ai consueti canoni definiti socialmente giusti. La fragilità della carta, come metafora della vulnerabilità dell’animo, rivela le insicurezze, le paure, le contraddizioni che turbano l’essere umano nel suo stato di “essere” al mondo. Le opere ci insegnano ad accogliere le imperfezioni e a comprendere che non esiste il costrutto di perfezione se non quello di “accettazione”.
Le scene protagoniste dei collage fanno riflettere poiché racchiudono nel loro simbolismo un gioco di significati reiterati dal condizionamento sociale, come se a primo impatto volessero esprimere un’idea chiara ma che in realtà nascondono un’accezione particolare: sono pezzi del mondo. La ricerca della libertà identitaria, “il restare fedeli a sé stessi”, genera confusione nella formazione della personalità e le opere di Redville talvolta sono personaggi tormentati, confusi, persi: le loro emozioni non sono decifrabili, assomigliano a modelli di supereroi mascherati, nemici del male che convivono con i loro demoni interiori e che cercano il modo per emergere vittoriosi.
L’opera “Spleen Splendor” è un autoritratto dell’artista. Redville ha deciso di adoperare una sua personale fotografia per rappresentare la Bellezza. In alcune composizioni è presente solo la parte inferiore del viso come figura singola o ripetuta in serie: la sagoma assomiglia a un vaso vuoto che aspetta di essere riempito di nuovi contenuti. In altre composizioni, invece, l’immagine del volto è tagliata e manca la parte centrale dello sguardo degli occhi; alle volte il pezzo mancante viene colmato dalla presenza decorativa dei fiori che fuoriescono dalla testa. Il vuoto ci rimanda alla leggerezza e i fiori simbolicamente restituiscono l’armonia ai pensieri. L’opera ci narra della condizione di uno stato d’animo contraddistinto dalla malinconia, dalla noia e, allo stesso tempo ci espone un’apertura verso il cambiamento, superando le radicate modalità emotive in favore di un rinnovamento delle espressioni delle stesse; ci racconta del ritrovamento di un equilibrio tra il significato di Bello, inteso come piacevole serenità emotiva e che si eleva verso lo Splendore e, del Sublime, che direziona l’anima verso il silenzio, gli abissi, l’oscurità.
«Stavo ricercando una metafora che rendesse in maniera ironica questa idea di Inno alla bellezza: una disperata ricerca del Bello e Sublime e la sua controparte malinconica, di malessere e rifiuto, sia interiore che esteriorizzato. Ho sentito che le due cose si rincorrevano, contrapposte. L’uno esisteva senza l’altro. L’unica cosa era scindere. Svuotare, eliminare la vista stessa»
Redville (Benedetta Bartolucci,1984) vive e lavora a Milano dove si occupa principalmente di artwork e packaging per la discografia e progetti grafici in ambito editoriale, adv, cinema, festival. Nel 2020, insieme ad altre 24 artiste, partecipa al progetto femminista, antirazzista, boxy-sex positive di arte pubblica “LA LOTTA È FICA”.