Emanuele Manco, è un artista Napoletano multidisciplinare, attualmente residente in Toscana per motivi lavorativi. Il suo percorso artistico è stato costruito in modo autodidatta, spaziando dall’arte digitale alla pittura e alla scultura. Tuttavia, è soprattutto nella creazione di maschere che Emanuele ha trovato la sua vera passione. La scintilla creativa è stata innescata definitivamente durante un viaggio in Sardegna, dove ha avuto l’opportunità scoprire i carnevali tradizionali dell’isola, dopo anni di incosciente fascinazione per il mondo delle maschere.
IL CARNEVALE SARDO
Il forte interesse per questi carnevali deriva dalla loro forte connessione con i riti pagani del passato, di cui restano tracce sia nei personaggi (e quindi nelle maschere) sia nei movimenti, che spesso e volentieri si rifanno a rituali ormai perduti che diventano elementi indissolubili credenze antiche, talvolta traversali alle culture più disparate. Si pensi alla suggestiva “processione danzata” del carnevale di Mamoiada in cui i Mamuthones scuotono decine di kili di campanacci con i loro movimenti oppure al carnevale di Ottana in cui viene inscenata la continua tensione tra uomo e bestia (identificati rispettivamente nelle maschere dei Merdules e dei Boes) mentre, in maniera quasi indifferente, sfila anche la figura detta “Sa Filonzana”, una sorta di parca che, tessendo un filo di lana, detta il ciclo della vita.
Prendendo spunto dall’uso delle maschere in contesti rituali, Emanuele ha deciso di impiegare il medium della maschera per dare vita ai propri lavori, impegnandosi non solo sull’estetica ma dando vita a “spiriti” che hanno una propria storia ed un proprio significato. Trasversalmente a tutti i suoi lavori è possibile identificare un forte impegno nel dare spazio a cause e ideali, l’artista non vede l’opera come esercizio stilistico ma un mezzo con cui creare canali di comunicazione, evidenziare la realtà, dare voce, dare vita ad un messaggio.
LA CONTAMINAZIONE CON L’INGEGNERIA DEI MATERIALI
Il processo creativo di Emanuele ha poco a che fare con il perfezionismo; gli piace sperimentare e lasciare che l’istinto lo guidi, riservarsi il diritto di esprimersi con il medium che preferisce:
«Non mi piace essere schiavo di un solo medium, non riesco a sentirmi totalizzato in una sola figura per rendermi più somministrabile al pubblico»
Basti pensare che alcuni dei suoi quadri sono dipinti con un coltello, il che sottolinea l’importanza dell’imprevedibilità nel suo lavoro…
La sua carriera accademica, nel settore dell’ingegneria, ed in particolare il lavorare a contatto con i metalli hanno influito su alcune riflessioni che ritroviamo alla base del suo lavoro con le maschere. In particolare, uno dei concetti che ha trovato più affascinanti è quello di “interfaccia” inteso come zona di separazione tra due fasi eterogenee. Concettualmente l’interfaccia non è né A, né B, né l’uno né l’altro eppure è fondamentale per tanti fenomeni fisici e meccanici. Ad esempio la rottura può originare da una interfaccia, la corrosione è preferenziale in questi siti.
Se mi immergo in un ambiente, inevitabilmente possiedo una interfaccia con lo stesso. Assumendo che il mio viso sia l’interfaccia tra il mio dentro (il mio sentire, il mio essere) e il fuori, cosa succede se copro la mia faccia con una maschera? Cosa succede se sulla mia interfaccia appongo la maschera di uno spirito di un rituale? Sono io a prestare il mio dentro per portarla in giro o è lei ad appropriarsi del mio dentro per prendere vita? Dove va a finire il mio dentro? Ma soprattutto, cosa divide il mio dentro e il fuori?
Riflessioni profonde che possiamo ricondurre ai temi di identità e individualità, in cui è possibile scorgere chiari richiami allo pseudonimo impiegato per questo progetto ossia “uardamenfaccia”: un imperativo, che contestualizzato con le precedenti riflessioni, pone più interrogativi che risposte.
LE MASCHERE
Le maschere apotropaiche sono oggetti o decorazioni che troviamo in molte culture e che per secoli hanno popolato le case, le tombe, le città. Sono rappresentazioni di volti che hanno il compito di allontanare le energie negative, questo concetto è alla base delle mie creazioni.
“Graunella” è il suo personale spirito protettore che lo ha seguito fino in Toscana; La maschera ha una particolarità: cambia espressione a seconda del punto da cui la si osserva, passando da un volto sorridente ad una espressione furiosa; questa peculiarità stigmatizza la difficoltà che l’artista ha affrontato nella sua vita nel dividere l’esistenza in compartimenti stagni, nell’imparare a superare e a gestire l’ira:
«Questa rabbia distruttiva, eversiva, non costruttiva, me la sono portata dietro, adesso credo di aver costruito su quella camera magmatica una casa, credo sia un processo di stratificazione che ognuno attraversa durante la propria crescita personale»
Sempre sul tema della dualità, si può apprezzare “Ciucciuettola” una maschera che rappresenta una civetta: simbolo sia di cattivo presagio che di buon auspicio.
Infine, una collezione di maschere divenuta simbolo del suo legame con la città di Napoli; il saluto alla sua terra è stato celebrato attraverso il progetto “Memorie”. Emanuele ha disseminato 17 maschere dorate nel cuore del centro storico di Napoli lasciando che qualsiasi passante potesse appropriarsene, invitato da una lettera con scritto “per te”, contenente una riflessione sui ricordi. Un gesto che va al di là della semplice installazione artistica, un saluto alla sua città, creando dei ricordi condivisi, per riflettere sulla loro importanza ma anche sulla loro precarietà.